domenica 29 luglio 2012

L'uomo sulle barricate

(intervista a Don Oreste Benzi)

Un uomo sulle barricate della storia moderna. Di quelli che fanno discutere e riflettere, che provocano rivoluzioni con la parola e l’esempio.


Il pastrano nero sulla tonaca modesta ed il berretto calato sui capelli candidi rendono inconfondibile la figura dall’incedere svelto. Il sorriso aperto e la parola franca richiamano l’attenzione di coloro che, avendolo riconosciuto, si affollano attorno a lui. Allora Don Oreste Benzi li saluta tutti nel modo consueto, mettendo loro la mano destra sulla fronte in un gesto che contiene l’affetto di un bacio, il calore di un abbraccio e il valore di una benedizione. Questo signore, che ricorda nell’aspetto ruvido e buono, il parroco di campagna di pellicole in bianco e nero, è in verità uno degli uomini più cosmopoliti dei nostri giorni; uno che percorre migliaia di chilometri al mese, che si sposta per mare, per terra e per cielo ai quattro angoli della terra, che dorme pochissimo: si alza all’alba, studia e legge fino a notte inoltrata; uno che scrive libri, che parla alle persone cercando di farlo nella loro lingua, che sbraita contro le ingiustizie del mondo dalle trasmissioni più seguite in tivù, che promuove campagne contro l’emarginazione, la droga, la prostituzione, che ha combattuto più di una battaglia e ha fatto il ’68 come il più agguerrito rivoluzionario nel nome della fede, della carità e dell’amore.
Don Oreste è nato il 7 settembre del 1925 a San Clemente, un paesino dei dintorni riminesi, da una povera famiglia di operai, settimo di 9 figli.
“La povertà della mia infanzia – racconta il parroco – non è mai stata condizione di infelicità. Anzi la ricordo gioiosa, con le canzoni di mia madre a far da colonna sonora sulle immagini di noi bambini che correvamo incontro al papà quando la sera rincasava dal lavoro.”
Ci sono ricordi scolpiti nella memoria, situazioni, parole e sguardi che hanno assunto, col tempo e la ragione, valore di metafore per chi della vita andava indagando il senso più profondo. Sono storie nella storia, piccole parabole che danno ritmo alla narrazione. La prima riguarda la vocazione. “Credo di averla avuta dentro da sempre. Ma mia madre e la mia maestra Olga certo sono state buone guide di un cammino cristiano. La prima volta che ebbi piena consapevolezza che avrei fatto il sacerdote fu in IV elementare. La maestra ci aveva parlato di grandi uomini: i pionieri, gli scienziati, i sacerdoti. Ed io ero rimasto affascinato da tutte tre queste figure, ma in particolare dall’ultima. Quel giorno decisi che avrei seguito quel cammino.” ‘A egregie cose il forte animo accendono l’urne dei forti...’ sosteneva Foscolo e di fatto, le imprese gloriose muovono l’animo degli uomini audaci ad emularne l’esempio.
La seconda riguarda la condizione umana da cui ha origine l’emarginazione: la sensazione di non valere.
“Una sera mio padre fece più tardi del solito. – racconta – Quando arrivò a casa, spiegò che aveva aiutato un uomo finito con l’auto nel fossato. Le automobili erano mosche bianche a quel tempo e l’uomo doveva certamente essere qualcuno di importante per possederne una. Per ringraziare mio padre dell’aiuto, gli aveva dato una mancia di due lire ma soprattutto, ci disse, gli aveva stretto la mano! Quella stretta di mano, che significava considerazione e rispetto, lo aveva colto impreparato, lo aveva gratificato e stupito come fosse qualcosa che egli non credeva di meritare. In quel momento seppi che nella vita avrei sempre lottato perché la consapevolezza di valere fosse una condizione imprescindibile dell’uomo.” Ogni uomo e donna che incontra, in carcere, sulla strada, nei centri sociali, nelle stazioni, nei villaggi persi nel cuore di continenti stranieri... possiedono per Don Benzi il valore e la ricchezza interiore capaci di elevarli dall’abbandono, dalla disgrazia, dalla sofferenza in cui versano purché essi trovino dentro di sé il coraggio di ‘crederci’.
La terza metafora riguarda proprio la fede, ed è il racconto di un lungo viaggio intrapreso sul finire degli anni Cinquanta, da cui nacque la casa Madonna delle Vette.
“Il mio desiderio è sempre stato, fin dall’inizio del cammino, quello di andare incontro ai giovani e capivo che il solo modo per farlo poteva essere quello di stare in mezzo a loro – Don Oreste ha insegnato per 26 anni nei licei Giulio Cesare e Serpieri di Rimini – per vivere le loro paure, comprendere dove e perché nasce la disistima, cosa origina la ribellione... E accompagnarli nella scoperta dell’umanità, cercando di trasmettere loro idee travolgenti. Passare cioè dal cuore per raggiungere le loro menti...” Fra le rivoluzioni che il parroco portò fra la sua gente, ci fu anche quella delle vacanze, ovvero un modo moderno ed accattivante di stare insieme divertendosi, scoprendo il mondo e le sue meraviglie. Non dimentichiamo che erano gli anni Cinquanta. Un giorno, con lo sguardo rivolto alle meravigliose vette del Catinaccio, al giovane parroco riminese venne l’idea di costruire in quel luogo, così vicino a Dio, una casa per le vacanze dei suoi ragazzi. Ma dove trovare i soldi per dare fondamenta al progetto? La diocesi di Rimini lo direzionò verso gli Stati Uniti che, sul finire degli anni Cinquanta, continuavano ad essere una grande risorsa per la ricostruzione – o costruzione che dir si voglia. “Nel 58 arrivai nel Connecticut per cercare, fra Stati Uniti e Canada, i fondi necessari alla costruzione della casa. Il Vescovo di Boston mi accordò 25.000 dollari ed io proseguii il mio cammino alla volta di New York. Chiedere soldi non era legale, ma la questua per i negozi della capitale poteva essere davvero fruttuosa, cosi, insieme al mio collega, decisi di tentare. Le cose per un po’ andarono bene, ma un giorno il titolare di una gioielleria ci chiese specifiche referenze altrimenti avrebbe chiamato la polizia. In quel momento, misi la mano in tasca e trassi il mio rosario. Lui di fronte a quel simbolo cristiano cambio atteggiamento, credette alla nostre parole e al nostro progetto italiano e mi segnalò delle aziende che avrebbero potuto agevolare la nostra raccolta. Riuscii ad aggiungere altri 10.000 dollari a quelli datomi dal Vescovo di Boston che consentirono di costruire il nostro albergo sulle dolomiti e che chiamai ‘Madonna delle Vette’.”
Poi ci fu il 68. E Don Oreste lo visse con lo spirito battagliero del contestatore, in prima linea contro le ingiustizie, le sopraffazioni, le chiusure e le discriminazioni.
“Il Sessantotto e i primi anni Settanta furono anni di grandi battaglie – prosegue – di occupazioni, di notti trascorse con i politici ed i parlamentari di allora a dar voce alle nostre ragioni. Scoprii una cosa nuova, inaspettata e straordinaria: che pur parlando lingue diverse volevamo le stesse cose. Anche Cristo, d’altra parte, era stato un rivoluzionario, un uomo nuovo che ribaltò la visione del mondo. Scoprii che, tutto sommato, eravamo dalla stessa parte della barricata. Ho contestato molto nei confronti delle istituzioni: ho marciato contro l’Azienda Turistica della Valle quando mi dissero che non potevo portare là i ragazzi portatori di handicap perché ‘avrebbero dato fastidio’ al turismo. Ho occupato per tre giorni la Usl quando volevano chiudere a Rimini il reparto di neuropsichiatria infantile; ho manifestato in piazza con 3000 giovani per ottenere quarantadue case per i poveri e ho sempre vinto. Alla fine ho sempre ottenuto la giustizia che cercavo.”
Del 68 è anche la fondazione della Comunità Papa Giovanni XXIII che oggi ha case famiglia in tutto il mondo. Nell’80 iniziò l’esperienza fra i lebbrosi e la prima missione in Zambia, poi in Tanzania, in Kenya, in India, in Bangladesh... “Perché il dovere di noi cristiani è quello di crescere come coscienza di popolo e fare le rivoluzioni che servono perché la devozione, senza la rivoluzione, senza cioè una missione da compiere, non basta. Bisogna darsi da fare, con energia, con costanza, per portare fra gli uomini più armonia, fra i popoli più giustizia ed equità ma soprattutto, fra gli ultimi, la speranza e la consapevolezza di non essere soli.”
‘Ehi, brother! Ehi, sister... Do you love Jesus?’ chiede Don Oreste alle persone che incontra sulle strade ‘della notte’ loro lo guardano perplessi, ma non si allontanano, lo accolgono fra loro e ascoltano quelle parole diverse, amiche... Poi magari ciascuno riprende il proprio viaggio notturno, ma con una consapevolezza nuova e un nuovo amico, col berretto calato sui capelli candidi e il pastrano nero abbottonato sulla tonaca umile. Lui li benedice alla sua maniera e a passo svelto continua la sua marcia attraverso un nuovo campo di battaglia.


* Si ringrazia per le immagini di repertorio la comunità Papa Giovanni XXIII e l’Editore Sempre

BOX
“Onora tuo figlio e tua figlia” è il provocatorio titolo dell’ultimo libro scritto da don Oreste Benzi, presente da qualche settimana nelle librerie. In un periodo in cui genitori, insegnanti ed educatori si lamentano di bambini e adolescenti che non sanno rispettare gli adulti e le regole della convivenza civile, questo libro propone un cambiamento di prospettiva: sono i piccoli a dover subire le conseguenze di scelte fatte da adulti spesso irresponsabili.
Don Benzi parte da frammenti di vita vera raccolti in tanti anni d’instancabile apostolato tra famiglie di ogni estrazione sociale, per inoltrarci nelle gioie e nelle sofferenze dei piccoli, nei drammi e nelle speranze degli adolescenti, nel difficile quanto affascinante dialogo vitale tra gli sposi. Il risultato è un nuovo, intenso e vivace manuale d’amore per tutta la famiglia.
Il volume si trova in libreria oppure può essere richiesto direttamente all’Editore Sempre, tel 0442 626738, fax 0442 25132, email: sempreabbonamenti@apg23.org
Don Oreste Benzi, Onora tuo figlio e tua figlia, Ed. Sempre, pp. 204, € 12,00

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L’Associazione Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, è organizzazione ecclesiale dal 25 maggio 1983. Il riconoscimento fu ufficializzato dall’allora Vescovo della Diocesi di Rimini Mons. Giovanni Locatelli. Il 7 ottobre del 1998 l’Associazione viene riconosciuta come Associazione Internazionale Privata di Fedeli di Diritto Pontificio riconosciuta dal Pontificio Dicastero dei Laici. Da oltre trent’anni opera contro tutte le forme di emarginazione e discriminazione, in Italia e all’Estero. E’ presente in Albania, Australia, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Croazia, India, Italia, Kenya, Romania, Russia, Tanzania, Venezuela e Zambia. Dallo statuto e Carta di Fondazione della Comunità si apprende che “si partecipa alla missione della Comunità vivendo la vocazione in ogni ambito e stato di vita: condividendo la vita degli ultimi; conducendo una vita da poveri; lasciandosi guidare nell’obbedienza; dando spazio alla preghiera e alla contemplazione; vivendo la fraternità secondo il Vangelo.” Oltre alle missioni, alle cooperative sociali e alle varie forme di condivisione, la Comunità è attiva sui fronti della scuola, nella professione e nell’azione sociale, si impegna per la pace e in progetti multisettoriali per l’autosviluppo dei paesi poveri. La comunità svolge anche attività editoriale attraverso vari strumenti divulgativi e del mensile Sempre.




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