
domenica 29 luglio 2012
Note d’Autore

L'uomo sulle barricate

Di padre in Figlio

Campione del mondo

Intervista a Italo Cucci

Fra i tanti personaggi intervistati, ricordo sempre con particolare piacere il giornalista Italo Cucci. Questo lungo articolo, pubblicato qualche anno fa da Rimini IN Magazine, ha per trama le mie domande e per ordito le sue risposte. L’uomo di cui parlo emerge fra queste righe con tutta la sua esemplare personalità. Conservo gelosamente la corrispondenza di quei giorni, che si lega anche ad un episodio che mi è rimasto nel cuore. È stato l’ultimo servizio che ho realizzato insieme all’amico Venanzio Raggi, lui ci ha messo le foto, io le parole.
Cinquanta primavere di una Rimini sfogliata come il quotidiano che mandi giù col caffè del mattino. E tante estati fa. Poi un biglietto per l’America... Anzi no, per Bologna, una sorta di Mecca per chi come lui aveva un sogno da realizzare.
Forse viene dal mare l'influsso corroborante che accomuna i riminesi celebri. O forse sarà il Garbino a gonfiare le vele di vite straordinarie. Certo è che anche Italo Cucci, ricordandosi riminese, guarda nella direzione del mare. E mentre lo guarda si domanda: “Chissà se ci sono ancora ragazzi come quelli della Rimini degli anni Cinquanta, quelli che aspettavano il treno del Nord che portava le bionde straniere, quelli che d’inverno passavano ore e ore a rimpiangere l’estate nella sala biliardo del Bar Dovesi, mentre fuori nevicava o c’era una nebbia cane e mancava poco che ci si piangesse addosso..."
È bello tornare a Rimini e ritrovare il mare.
"Ma vorrei dirti perché quando guardo quel mare lo trovo diverso da quello che vedono tanti..." Inizia così un racconto sull’onda di emozioni che hanno riempito il tempo andato; non un amarcord di stampo tradizionale, piuttosto un gioioso recupero dal baule dei ricordi di nomi e volti e svolte nel variegato assortimento che compone la vita.
Riminese fra i più noti dei nostri giorni, Italo Cucci è nato a Sassocorvaro, nel Montefeltro, nel 1939 ed è cresciuto nella Rimini del dopoguerra dove ha iniziato la sua avventura giornalistica nel 1958 con il settimanale “La Provincia”, diventando giornalista professionista nel 1963 al Resto del Carlino/Stadio. Allievo di Gianni Brera, Severo Boschi, Aldo Bardelli e Enzo Biagi, oggi insegna giornalismo sportivo alla Libera Università delle Scienze Sociali (LUISS) di Roma e Sociologia della comunicazione sportiva alla facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Teramo. Collabora con diverse Università italiane dove tiene seminari e lezioni sui vari aspetti dello Sport. Ha diretto i giornali in cui è stato redattore. Prima il "Guerin Sportivo" (tre volte), poi "Il Corriere dello Sport-Stadio" (due volte), e il "Quotidiano Nazionale" che raccoglie le testate di "Nazione", "Giorno" e "Resto del Carlino" Ha diretto anche il mensile “Master” e il settimanale “Autosprint”.
Per lui, uomo della comunicazione, romagnolo nello spirito al di là del certificato anagrafico, parlare accorciando le distanze è un gioco da ragazzi. E la Romagna che gli è madre dal ‘43, quando con la sua famiglia raggiunse Rimini, è il fondale di ricordi che partono da una precisa estate.
"Eravamo, come tanti, gli sfollati che in quei giorni cercavano di scappare dalla guerra. – racconta - Il 29 giugno fummo mitragliati alla periferia di Santarcangelo e continuammo a fuggire finché trovammo rifugio a Poggio Berni, nel cuore della Linea Gotica."
Chi è stato bambino durante la Guerra, sa farne quadri di un verismo sorprendente, più che doloroso, stupito, con le mitragliatrici a far da colonna sonora. La gente di Romagna però aveva una capacità tutta particolare di accogliere i nuovi venuti, di infondere un senso di ottimismo che invogliava talvolta a cantare e a ballare, quello stesso che, dice Italo, vale più di un certificato di nascita, intendendo dire che dove c’è quel modo di essere, quel modo di prendere la vita, lì c’è la sua casa.
La nuova vita inizia in una città distrutta, nella zona vicina alle Officine Ferroviarie. "La prima volta che vidi il mare, - dice tornando al pensiero originario - mi colpì la spiaggia immensa e persone che stavano sotto cumuli di sabbia che sembravano tombe. Invece si curavano i dolori di guerra. La prima volta che vidi il mare e le luci di Marina Centro, mi colpì la commozione di mia madre. Ecco perché quando guardo il mare lo trovo diverso da quello che vedono tanti..."
Rimini. In una parola tutta la gioventù. Ed una valanga di nomi e cognomi che partono dalla scuola, giù giù per Marina Centro e finiscono a far mattina all’Embassy, alla Casina del Bosco, al Kansas City, al Paradiso. Così, ecco il Maestro Dionigio Monti con il cappello che toglieva solo in classe, educatore straordinario, come del resto il preside Arduino Olivieri del Liceo Classico Giulio Cesare che dicevano essere stato il preside anche di Fellini. Pur accondiscendendo all'attributo 'serioso', suggerito da me e da lui non disdegnato fino in fondo, Italo Cucci in verità è un uomo di spirito. "Potrei dirti degli amori - scherza - Meglio di no, sai quanto sono gelosi i riminesi! Degli amici invece sì. Ho tanti bei ricordi di un gruppo che si chiamava con un fischio. Giancarlo Turci, Rino Oliveti, Mario Mazzotti, Albertazzi e il suo clarinetto... Una banda che vagava a Marina che pensava al jazz, al baseball, agli amorazzi di stagione..."
La Rimini degli anni Cinquanta aveva il suo cuore a Marina Centro. E poi c'era il Paradiso, dove a mezzanotte ... "Ebbene sì, mentre l’orchestrina riposava, cantavo per quindici minuti Gilbert Bècaud e Nat King Cole, le mie passioni, e dove ho avuto l’onore di presentare le serate di Helen Merril e Chet Baker, sì, proprio il grande Chet, ‘Time After Time’, notti e note che mi sono rimaste nel sangue, insieme alle mattane di un’estate che forse non esiste più." Viveur e amante di Hemingwai, Steinbeck, Jean Paul Sartre, Tennessee Williams, della musica e della carta stampata, sorprenderà ma Italo Cucci, il grande giornalista sportivo, in quella gioventù scapigliata fu tutto tranne che sportivo, nonostante avesse avuto maestri come Romeo Neri ed Eugenio Pagnini. “Niente sport, solo musica e libri... Stavo ore e ore nel negozio di Minnie Torsani. Misi insieme una bella collezione che ho ancora, Minnie faceva credito, l’ho pagata dieci anni dopo... Steinbeck, l’ho capito quando ho preso un aereo, un’automobile e sono andato a Salinas, in California, e ho girato per giorni e giorni nella Valle dell’Eden... Sere dopo, a Los Angeles, parlavo di Rimini come un romanziere e mi ascoltava una vecchia conoscenza di casa, il colonnello Orlando, uno dei piloti della pattuglia acrobatica di Miramare che adesso è proprietario dell'hollywoodiano Caffè Roma. Ci guardava, con occhi divini, seduta più in là, Bo Derek... Beh, adoro i libri, ne ho collezionati migliaia, di ogni genere, e li ho appena donati a Pantelleria, la mia isola, l’altra Rimini che va bene per gli anni che ho. Forse ho smesso di sognare e ho cercato posto in un sogno permanente..." E la musica, con un sogno mai avverato... "Papà non poteva pagarmi le lezioni di piano. Se ne venisse l’occasione, farei come il dottor Faust: non darei l’anima, no, ma tutto quello che ho fatto in cambio della Suite Bargamasca di Debussy. Con me al piano. Ho un’immensa collezione di dischi di ogni tipo di musica, jazz, classica, rock, leggera, lirica: tutto Duke Ellington, tutto Armstrong, tutto Presley, tutto Nat King Cole, tutto Sinatra, e Verdi, Puccini il favorito...Un posto da visitare che consiglio agli amanti della musica: il cimitero parigino di Père Lachaise, dove puoi fermarti a pregare o a canticchiare sulla tomba di Rossini, di Jim Morrison, di Chopin, di Beethoven o della Callas e mille altri...Da Jim si può bere birra e fumare uno spinello: lo fanno."
A questi amori, in terza liceo, Italo aggiunse la politica e la passione per il giornalismo. Non era difficile sognare di fare il giornalista, in quella Rimini in cui uscivano sei giornali locali. Troppo impegno, e la mattina a scuola si addormentava sul banco. Allora l'insegnante di lettere lo provocò chiedendo perché mai continuasse a perder tempo e farlo perdere a scuola. 'fai il giornalista!' gli disse e lui la prese sul serio. "Mi bocciarono. Arduino mi guardò malissimo ma sorrise anche lui quando dissi che andavo a Bologna a cercare un posto al Carlino... Feci la mia valigetta e alla fine del Sessanta ero già via Gramsci 5, Bologna, la mia Mecca..."
Non era difficile sognare di fare il giornalista e lui l'aveva sognato seduto al bar dell’Embassy, guardando nella direzione dell’albergo di fronte dove scendevano sempre giornalisti importanti che venivano a Rimini in vacanza o per realizzare servizi estivi. "In quello stesso albergo ci tornai per una delle mie prime conferenze - ricorda - e in cuor mio ringraziavo Mimmo Mainardi che mi aveva svezzato, Achille D’Amelia che mi aveva fustigato, Amedeo Montemaggi che mi aveva appena sopportato ma mi aveva fatto scrivere nella pagina di Rimini un pezzetto per ricordare Fred Buscaglione quando morì... Ero amico di Fred. Nei giovedì pomeriggio si stava insieme all’Embassy, un aperitivo, tante chiacchiere. E la notte cantava “ricordati di Rimini, di quelle notti magiche passate in un sospir...” o “ Elio il barista è un ragazzo molto in vista...” Penso che la mia vita cambiò davvero quando se ne andò lui, perché lasciai Rimini per sempre. Salvo tornarci per gli affetti, la mamma, il fratello, i nipoti e qualcuno che col tempo ha deciso di ricordarsi che sono riminese..." Lui sostiene che i riminesi, se hanno memoria, se la tengono dentro, ben chiusa. Ma poi il suo pensiero corre a Ennio Zangheri e dice che ha fatto proprio bene a dipingere ed esporre quelle 'Facce di Riminesi' (Trenta Ritratti) "non solo perché ci ha messo anche la mia, ma per quella gente che non c’è più e io continuo a credere che sia viva, perché stando lontano mi arrivano solo raramente e quasi spenti gli echi degli addii..."
Dicevamo il giornalismo... ma non lo sport, bensì la cronaca, la politica... E invece poi un giorno fu investito di un incarico speciale. "Fu il Direttore del Carlino, Giovanni Spadolini, che mi...traviò. Gli stavo sulle scatole - afferma - perché in cronaca, a Bologna, parlavo sempre di politica e quando nel Sessantatré decise di farmi il contratto mi disse che un sovversivo come me stava bene allo sport, e mi spedì a ‘Stadio’. Senza saperlo, senza volerlo, fece la mia fortuna. Lo rividi nell’Ottantadue, in Spagna, alla vigilia della finale dei Mondiali che avremmo vinto... Era presidente del Consiglio."
I nomi e cognomi a questo punto della storia s'impennano ed ecco Spadolini, Ninni Pingitore, Sergio Zavoli, Enzo Biagi, Enzo Ferrari, ma non è facile riassumere gli episodi salienti di una carriera così dinamica e luminosa. "In una mia inchiesta dei primi anni Sessanta svelai per primo i misteri del Triangolo della Morte. Ecco perché Spadolini non mi amò... Ma fu la scuola del ‘Guerino’, a Milano, a lanciarmi definitivamente, tanto che si accorse di me Sergio Zavoli che ne parlò a Enzo Biagi per il ‘Carlino' Che andava a dirigere nel ‘70. È ancora il ‘Guerino’ dal ‘75, a darmi la spinta decisiva. I Mondiali d’Argentina nel ‘78 e il dramma dei desaparecidos, le Olimpiadi di Mosca nell’80 e l’inizio della glasnost. Insomma, non ho visto e raccontato solo lo sport. Poi i Mondiali dell’Ottantadue, mio personale trionfo perché ci avevo creduto prima, e la tragedia dell’Heysel vissuta e raccontata in diretta al ‘Carlino’. Ma il massimo fu conoscere e diventare amico di Enzo Ferrari. E anche questa è un’altra straordinaria storia..."
Dalla carta stampata alla tv passando per la radio che, come dice Italo, è il mezzo più sincero.
"Vedi, nello scrivere ricerchi la parola più appropriata, la citazione dotta, l’idea felice... In televisione spesso devi pensare anche alla cravatta giusta, al giusto atteggiamento. C’è quasi sempre qualcosa di falso. La radio è vita, quel che senti lo dici, quel che sei si capisce, vince la verità, non ti leggi, non ti guardi, non ti ascolti, vai dritto alla mente e al cuore di tanti..."
Ma allora la sua vita passata a dirigere quotidiani... "Dirigere un quotidiano è la cosa peggiore che può capitare! Non vai a governare notizie, storie, costume, luoghi e momenti della cronaca e della storia ma uomini che al giornale antepongono la loro vita e i loro problemi, che diventano i tuoi e ti assillano, ti spengono... "
Così per otto volte si è dimesso da altrettante direzioni. Senza rimpianti. "Non so cosa siano i rimpianti, - ammette- adesso dirigo me stesso e so di avere ancora tante cose da fare, tantissime da raccontare. Un giorno, visto che non lo sono, potrei fare anche lo scrittore. Vediamo cosa ne dice Pantelleria. Perché potrei anche dedicarmi a capperi, ulivi e buganville..."
Invece scrittore lo è, e se fra tutto quel che si ha, si potrebbero annoverare anche gli amici, beh di quelli il maledetto mondo del giornalismo induce a diffidare. In 'Un nemico al giorno' ultimo libro autobiografico, Italo Cucci espone la teoria secondo la quale un giornalista non possa avere amici, almeno nel lavoro. Vi sono descritte storie professionali con l’intento di colpire l'immaginazione dei giovani vogliosi di fare i giornalisti, "Ad essi ogni giorno vengono dati esempi penosi - dichiara - visto che ormai il Potere e il Giornalismo sono pappa e ciccia... Il giornalismo è un mestiere, non una missione, a me è andata bene perché ... - e qui termina con la frase diventata un suo cavallo di battaglia - se non sempre ho scritto tutto quello che volevo non ho mai scritto quello che non volevo."
BOX
Italo Cucci, ha collaborato con Pupi Avati alla sceneggiatura del film "Ultimo Minuto" con Ugo Tognazzi. Ha vinto il premio "Dino Ferrari" assegnatogli da Enzo Ferrari, col quale ha avuto un lungo rapporto d’amicizia. Ha scritto numerose biografie di campioni e storie dei Mondiali di Calcio e tre libri, il romanzo "Minuto per minuto", l’autobiografia professionale "Un nemico al giorno" e "Tribuna Stampa - Storia critica del giornalismo sportivo"(con Ivo Germano) Oggi è Direttore Editoriale dell’Agenzia di Stampa Italpress, scrive per i giornali del Gruppo Monti/Riffeser, “Avvenire”, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, “Il Messaggero Veneto”, il “Giornale di Sicilia” e altri quotidiani regionali, per “l’Indipendente” e “Ideazione”. Collabora alla Rai come commentatore del TG2, opinionista di “Sabato Sprint”, "Unomattina” e RadioRai. E' ospite fisso della Grande Giostra del Gol di Rai International.
Recentemente è stato Testimonial della Campagna di Telefono Azzurro
Il ‘codice binario’ della Moda
(articolo pubblicato su Premium in magazine)
YOOX Group, bolognese, è il partner globale di Internet retail per i principali brand di moda & design ed è il più forte gruppo del mondo nel settore dell’abbigliamento on line con più di un milione di capi consegnati, all’anno, in tutto il mondo. Incontriamo il suo fondatore ed amministratore delegato Federico Marchetti.
Il potere seducente dello shopping non ha eguali e, in questo mondo dominato dagli stimoli della bellezza, la moda regna sovrana. Tuttavia questo è un momento di profondo cambiamento anche nel fashion system e i più importanti brand del lusso si stanno muovendo rapidamente per sviluppare new business su Internet. In Italia, secondo i dati dell’Osservatorio B2C della School of Management Politecnico di Milano/Netcomm, il settore dell'abbigliamento on line muove un giro d'affari di circa 150 milioni di euro, con una crescita, la più alta di tutti i comparti, del 40%. Il settore rimane fortemente concentrato nelle mani di pochi, forti gruppi e il leader di mercato, risulta essere YOOX Group.
YOOX.COM, nata nel 2000 dal progetto del bolognese Federico Marchetti, è la boutique virtuale di moda & design multimarca numero uno al mondo e ha contribuito pionieristicamente a creare lo shopping di moda online nel nostro Paese. L’infrastruttura globale sincronizzata su tre continenti, insieme all’esperienza dei suoi operatori, ha contribuito all’apertura nel 2006 di YOOX Services, società di YOOX Group che progetta e gestisce gli online flagship store per conto dei principali brand che intendono offrire online la stessa collezione disponibile attualmente nei negozi. All’oggi i flagship store online monomarca realizzati da YOOX sono: Marni, Emporio Armani, Diesel, Cp Company e Stone Island, Valentino, Miss Sixty e Costume National.
Marchetti, che ha studiato economia presso l’Università Bocconi di Milano, ha conseguito l’MBA presso la Columbia Business School di New York.
“L’idea ha avuto origine in America. – racconta - Dopo due anni vissuti intensamente a New York, sono tornato a Milano nel settembre del 1999. Conoscevo bene l’ambito della moda, anche per aver lavorato come “consigliere” per alcune personalità del settore. Da tempo desideravo fare l’imprenditore, e tutti i lavori e gli studi fatti tra i 20 e i 30 anni, li ho portati avanti con un obiettivo chiaro in mente: imparare il più possibile e in fretta, in modo da essere ben preparato una volta che mi fosse venuta l’idea imprenditoriale. E l’idea arrivò: accoppiare internet con la moda, ovvero l’accessibilità dell’esclusività. In altri termini, l’unico modo per rendere accessibile il lusso senza inflazionarlo. Nel 2000 è nata YOOX.COM, un nuovo format retail, un modello innovativo di comunicazione e distribuzione che utilizza tutte le potenzialità di internet per la moda.”
Federico Marchetti ha fondato il gruppo dopo aver lavorato a Lehman Brothers in qualità di esperto di beni di lusso e a Bain & Co. come consulente strategico. Nel corso degli anni ha lavorato come consigliere personale per alcuni grandi nomi della moda italiana e statunitense.
Cosa significa YOOX? “Il nome stesso ne rivela la natura: Y e X, il cromosoma maschile e quello femminile, racchiudono al proprio interno lo ‘zero’ del codice binario, linguaggio fondamentale dell’era informatica.“
YOOX.COM è una boutique virtuale con un primato mondiale. “Si, è la numero uno al mondo, - risponde - con quattro milioni di persone in media ogni mese e più di un milione di capi consegnati in tutto il globo nel 2007. Grazie al rapporto diretto con designer, produttori e dealer autorizzati, YOOX.COM seleziona un mix & match infinito di stili e tendenze non disponibili altrove.”
Il prossimo progetto? “Parte nel mese di novembre il primo Master in E-Fashion ideato da YOOX Group, insieme al MIP, la Business School del Politecnico di Milano: un’iniziativa totalmente innovativa che vuole rispondere ad una esigenza di figure professionali ad hoc per questo nuovo tipo di mercato. Il settore E-Commerce ha registrato un forte incremento; come si può leggere dalla ricerca The State of Retailing Online 2008, condotta da Shop.org e Forrester Research, l’abbigliamento è la categoria a più alto tasso di crescita nel mondo online. Il Master, vuole svelare i segreti e le strategie di un settore in forte crescita ed espansione come l’E-Fashion. Un segnale forte per incoraggiare la creatività ed intraprendenza italiana, perché il mondo, primi fra tutti gli Stati Uniti, si muove molto velocemente e noi, leader della moda non dobbiamo restare indietro.”
Si aprono, insomma nuove frontiere per la moda italiana in cui l’esclusività tipica del lusso si incontra con l’accessibilità di Internet per dare vita a inedite e creative esperienze di acquisto. Moda e Internet si rivelano sempre più un binomio vincente per lo sviluppo e l’export del Made in Italy nel mondo.
in alto Federico Marchetti fotografato da Davide Lolli,
qui sopra due cover collezioni.
L'orologio di Talacia

La ricerca del Tempo
nella stalla di Angelini
Il tempo. Immobile di fronte all’Orologio, nella sagrestia della Chiesa di San Martino in Riparotta, osservo l’arcana opera di Gennaro Angelini. Il prodigioso meccanismo, coi suoi quadranti e le sue ruote, le catene e i tiranti, intricata e sorprendente rappresentazione delle meccaniche celesti, nella sua rudimentale essenza toglie il fiato, misterioso come il Pendolo di Foucault nell’omonimo romanzo di Umberto Eco, inquietante allo stesso modo. Sta immoto. Dicono si sia fermato quando il cuore del suo creatore ha smesso di battere.
L’uomo che inseguiva il moto perpetuo, suddividendo le ciclicità dell’Universo in secondi, minuti, ore, decenni, secoli… che, fronteggiando il calcolo astronomico della precessione degli equinozi, della differenza fra anno siderale e anno solare, contava i bisestili… se ne è andato, portando con sé la sua sapienza e quella speranza d’immortalità che forse si nasconde dentro ciascuno di noi.
“Spero che Dio sia con me” diceva “e che mi dia l’immortalità, in modo che quando (l’orologio) si scaricherà, io possa venire a ricaricarlo.”
Ma l’uomo che curava i campi della Parrocchia di Riparotta, che semplicemente viveva osservando l’alternarsi delle stagioni, che, ruvido e robusto, portava sulle spalle il peso di una famiglia grande e del dolore di averne persa parte, che ne sapeva, quell’uomo lì, delle maree, dell’asse di rotazione, dell’attrazione terrestre, della forza di gravità, della teoria della relatività?
Il tempo. Di fronte alla curiosa ‘Macchina’, in questa bella chiesetta di provincia ricostruita dopo la distruzione dei bombardamenti simile all’originale, generazioni di pensatori affiorano alla memoria. Platone, Sant’Agostino, Kant, Hegel… e infine Einstein che lo scopre relativo, a seconda della velocità e del riferimento arbitrario preso in considerazione.
Il tempo, non è un gioco da poco con cui confrontarsi e forse proprio in questa improbabile e misteriosa sfida impari risiede il fascino che avvolge l’Orologio di Talacia e che ha indotto Mario Turci, Don Danilo Manduchi e Federica Foschi- che ha curato anche la pubblicazione “L’Orologio di Talacia. Storie e documenti” prodotta dal Museo degli usi e dei costumi della gente di Romagna in collaborazione con la Parrocchia di San Martino in Riparotta - ad approfondirne lo studio e ad impegnarsi nella sua ricostruzione. L’accurata ricerca ha coinvolto nel lavoro diversi testimoni, amici e parenti di Gennaro Angelini detto Talacia. Le interviste, riportate fedelmente nel testo, a ruota libera, nello stile del linguaggio parlato, donano al saggio quel realismo che fa da sfondo autentico alla ‘Macchina del tempo’. Accanto alle testimonianze, una panoramica storica chiara e ben contestualizzata mette in fila le fasi di un’esistenza non banale, capace di elevarsi dalla terra e meravigliare il mondo. Gli articoli apparsi sui giornali degli anni Cinquanta, i documentari dell’Istituto Luce, le visite dalla Svizzera… dimostrano infatti tutta la curiosità e lo stupore degli uomini ‘colti’ di fronte a questo marchingegno di legno e ruggine, diabolico nella sua elementare complessità, con il fascino ancestrale e misterioso di un calendario Maya. Lodevole l’impegno dei ricercatori, cui si deve soprattutto il merito di aver riportato ‘a casa’ l’Orologio di Talacia.
*Col consiglio di leggersi il bel volumetto di Federica Foschi, ma soprattutto di andare di persona alla Chiesa di San Martino in Riparotta a vedere l’oggetto di tanta meraviglia.
La morte
Quindi il Tempo è un' invenzione umana?
No, è simile a un senso, al metodo del ragionamento che ordina le cose secondo criteri, secondo relazioni.
Però l’uomo gli ha dato un’unità di misura e questa unità di misura l’ha presa dalle meccaniche dell’universo conosciuto. In maniera semplice, diciamo dalla rotazione e dalla rivoluzione della Terra attorno al sole. Quindi l’unità di misura del tempo è relativa a questa Natura. Fuori da questa, dove Noi siamo i Soggetti sensibili, come sostiene Kant, non esiste.
Il che, però, non ha nulla a che vedere con l’immortalità. Solo che l’uomo che, dalla notte dei tempi, deve fare i conti con la sua finitezza, vorrebbe istaurare una sorta di relazione fra le due cose. Se, da qualche parte, non esiste il Tempo… Forse là non muoio. Bellissima considerazione.
Ecco dove volevamo arrivare. Sempre lì. Tutti i ragionamenti vogliono arrivare lì. Al Problema.
Abbiamo un Problema, inutile negarlo.
La morte.
Inaccettabile.
Partendo dal presupposto dell’ineluttabilità della morte, e per ‘superarla’, è interessante il consiglio dei saggi, che non hanno sprecato parole vuote, ma hanno forse indicato la soluzione giusta, comprendendo prima o meglio degli altri dove stia la verità.
Ma seguire il consiglio di chi è più saggio non è cosa prevista dal codice personale dell’essere umano.
E quindi non ci resta che morire.
Prendiamo per esempio Seneca.
Nell’opera ‘De brevitate vitae’, lo stoico epicureo e razionale Seneca sostiene che la vita non sarebbe breve se non fossimo noi a renderla tale, occupandoci troppo di cose futili e con gli occhi sempre rivolti al futuro. Ma il futuro, come dirà poi ben bene Sant’Agostino, ‘Non è ancora’ NON è. Quindi tutti a preoccuparci di una cosa che NON è invece che occuparci di ciò che è, (l’attimo fuggente) della parte di Noi che (forse) non rischia di morire. L’Anima.
Troppo religioso come concetto?
Allora chiamiamola Ragione. Come hanno proposto gli Illuministi.
La Ragione, sede della Logica come sosteneva Hegel, potrebbe avere in sé tutte le risposte (e lo aveva già indicato Platone, immaginando anche che le avesse ‘dimenticate’).
L’Anima dell’uomo, Ragione o Parte-non-Sensibile, ha la possibilità di riscattarsi dalla schiavitù del corpo, cioè dei sensi, delle passioni, delle avidità, delle paure, delle piccolezze e delle ambizioni terrene, grazie all’amore per la conoscenza, cioè la filosofia, ‘Consolazione’ come la chiamava Severino Boezio, nei confronti delle cose terrene che spesso appaiono ingiuste.
Solo riuscendo a concentrarsi davvero su quanto in noi (forse) non è mortale, avremo superato la morte.
Sul tema del tempo
Qualche divertente speculazione…
Nessuno ha ancora capito davvero cosa sia e per spiegarlo tutti citano tutti: filosofi, matematici, poeti… A partire dai primi illuminati, i greci, passando per Sant’Agostino, scivolando su Newton, sugli idealisti tedeschi per approdare a Einstein e alla molto citata teoria della relatività, di cui tutti conosciamo solo il nome, milioni di parole si misurano con la risposta ripercorrendo dapprincipio il ragionamento, senza fine…
Misurarsi col ‘problema’ del tempo, affascina, è chiaro, ed è terribile dover sempre partire dalla ormai ahimè scontata frase delle Confessioni … No, non voglio dirla.
“Se nessuno me lo chiede, so cos'è il tempo, ma se mi si chiede di spiegarlo, non so cosa dire”
L’ho detta.
La spiegazione di Tempo che mi è sempre piaciuta di più è quella del filosofo tedesco Immanuel Kant, sotto riportata (in sintesi). Riassunto (stringato) e commento (fantasioso) sono miei e sono tratti dal vero testo “Critica della Ragione Pura” in due volumi economici, edito da Bompiani. Qui, nell’Estetica Trascendentale, si comprende, o meglio, con molta fatica si comprende (forse), come possa essere spiegato, alla maniera dei filosofi, il concetto di Tempo.
Dunque.
Il tempo non è un concetto empirico, vuole dire che non dipende dall’esperienza sensibile: in effetti, non sarebbe possibile percepire relazioni come la simultaneità o la successione di eventi, se, come fondamento non si trovasse, a priori, cioè dato per scontato, la rappresentazione del Tempo.
Il tempo è una rappresentazione necessaria, che sta a fondamento di tutte le intuizioni e soltanto in esso è possibile una qualsiasi realtà delle apparenze. Significa che le cose empiriche, cioè percepite dai sensi, esistononel Tempo. E ciò è possibile perché il Tempo è, dentro di noi, a fare da fondale a tutto quanto accade nella realtà e nell’esperienza e ciò non è opinabile, ma necessario, ovvero senza possibilità di essere messo in discussione.
Oltre ciò, il Tempo ha una sola dimensione ed è infinito; ora, sulla dimensione si può essere più o meno vaghi, diciamo che per Kant è una sorta di linea che va in una direzione e tende all’infinito… tempi differenti sono semplicemente parti di un solo e medesimo Tempo. L’infinità del Tempo significa che ogni grandezza determinata di tempo (secondi, ore, minuti, secoli…) è possibile soltanto attraverso limitazioni di un unico tempo che sta alla base, il quale non ha misura: è infinito. Nonostante ciò, il tempo non è qualcosa che sussiste per se stesso come una determinazione oggettiva; ovvero non è qualcosa di oggettivo, a se stante, ma è la condizione soggettiva (è un senso interno del Soggetto, cioè Noi) sotto la quale tutte le intuizioni possono verificarsi in noi. Il tempo è la forma del senso interno e determina il rapporto delle rappresentazioni degli oggetti dentro di Noi, è una condizione soggettiva della nostra intuizione, e fuori dal soggetto (fuori da Noi) è nulla. È forma a priori della nostra sensibilità che, in esso, intuiamo e abbiamo esperienza di tutte le cose.
Il Tempo ha dunque una realtà sensibile riguardo a tutti gli oggetti e pertanto deve essere realmente considerato, ma se da esso si elimina la condizione particolare della nostra sensibilità, anche il concetto di tempo svanisce.
Difficile?
Beh, è come dire che la bellezza è negli occhi di chi guarda.
Sembra una frase banale, ma è filosofia pura: significa che non può esistere la bellezza oggettiva (in sé), ma che essa dipende dalla condizione del Soggetto che la guarda; nello stesso modo, il tempo è, in noi, la possibilità di intuire le relazioni del prima, del dopo, del durante fra gli eventi, nel mondo sensibile.

