Viserba nei ricordi di Enea Bernardi
Pensieri sul volume
“Storie su due piedi, immagini della memoria”
Di Marzia Mecozzi
Le immagini della memoria che, su due piedi, si trasformano nelle storie di Enea Bernardi, illustre viserbese, sono flashback di tanti passati messi insieme: remoti, prossimi, imperfetti…
Si mischiano col suo presente in un vaevieni di nomi, luoghi, avventure, circostanze, casi curiosi,
antiche domande senza risposta, sogni, ombre e fantasmi.
Alcune di quelle storie tornano in una Viserba che non esiste più, una terra sconosciuta ai tempi nostri, ma forse ancora cara a molti che ne ricordano l’innocente e selvaggia purezza.
In quella landa sabbiosa e dimenticata, dove la memoria s’incaglia in paesaggi nebbiosi dell’anima, c’era, quella volta, per esempio, un canale chiamato dapprima La Viserba e poi La Fossa dei Mulini. In quel canale, che a volerlo percorrere a ritroso saliva dalla zona mare verso il Mulino dei Leli, oltre il quale sorgeva la vecchia Corderia, s’avviano i ricordi del Professore che era nato a Viserba nel 1922. E quei ricordi si spingono ancor più in là, attingendo alla mitologia popolare imbastita col vero, di quando “i binari della ferrovia non dividevano ancora la marina dal monte, non esistevano case e strade ma solo sentieri segnati da piante selvatiche e spinose e le dune di sabbia si stendevano a perdita d’occhio.” Allora, compariva, livido e tenebroso lo spettro de Surcion, uno Stige infernale dal nome aspro e chioccio, derivazione del francese source (sorgente) ma che la tradizione popolare
riteneva equivalente a Il Cerchione, perché verso la metà dell’Ottocento la sorgente in mezzo alle sabbie mobili era stata delimitata da un parapetto di cemento a forma di cerchio. Uscite poi dalla periferia, le storie s’aggrappano a precisi accadimenti della vita dai quali la riflessione si allarga a cogliere significati più vasti, in un senso di oltre-lettura impregnato di quella saggezza filosofica che a Enea Bernardi, docente di scienze dell’educazione all’Università di Firenze, non faceva certo difetto. E il tutto condito da una scrittura elegante ancorché vigorosa, leggera sulle sfumature cupe, vibrante
sui fotogrammi giocosi, ma sempre morbida nell’adagiarsi sulle immagini della memoria.
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